martedì 24 settembre 2013

Gabriella Gaby Angelini- uno sbattito d'ali


Gabriella Gaby Angelini
 foto con dedica della mamma






Almanacco del 24 settembre:


Fece quello che le piaceva, seguì il suo istinto e consumò la sua vita in breve, come uno sbattito d’ali...



Gabriella Gaby Angelini a soli 19 anni invece che soddisfare le aspettative della sua agiata famiglia e della madre, manager di un’industria farmaceutica, e seguire un corso di danza e di pianoforte scelse la sua passione: il volo; passione sbocciata dopo una visita e un volo di prova a Milano, nello stabilimento della scuola della Breda, prese infatti in quella scuola il brevetto da pilota nel 1931.
Partecipò quindi subito ad una gara aperta a tutti: il Giro di Lombardia dove si classificò appena sesta, decise quindi di fare qualcosa in più per emulare i grandi raid che piloti più conosciuti e ammirati dell’epoca erano riusciti a svolgere conquistando fama e notorietà.
Organizzò una sorvolata in solitario che doveva toccare otto paesi europei, dall'Austria, alla Cecoslovacchia, dalla Germania, alla Danimarca, dalla Svezia, all'Olanda, dall'Inghilterra alla Francia, in 25 giorni, addestrandosi al volo cieco e acrobatico. 
Nel 1932 con il suo velivolo leggero Breda 15 parte dall'Italia, tranne un atterraggio di fortuna tra Copenaghen e Stoccarda, per essersi trovata senza carburante, l’impresa va a buon fine e Gabriella diventa una star sulle riviste di mezzo mondo. Anche la stampa italiana si accorge di lei e l’aspetta al suo ritorno a Milano, ormai nota come Gaby, “Little Gaby” come era stata ribattezzata su tutta la stampa estera.
Il ministro dell’aeronautica Italo Balbo si complimenta con lei mandandole un telegramma di encomio e il Regime fascista la insigne dell’Aquila d’oro.
Gaby Angelini
Gaby quindi entusiasta per la riuscita dell’impresa vuole accrescere la difficoltà e la spettacolarità in un nuovo progetto e questa volta vuole un volo Milano-Delhi, con tappe intermedie a Roma, Trapani, Tunisi, Tripoli, Tobruk, Il Cairo, Gerusalemme, Bagdad, Bassora e Karachi.
Questa sua nuova impresa viene fortemente sostenuta e pubblicizzata dal Regime e trova la sponsorizzazione dell'Aero Club di Milano. E’ cosa gradita infatti al regime dimostrare che anche le donne italiane non sono da meno di quelle di altre nazioni e sono altrettanto capaci di azioni audaci e coraggiose che portano lustro all'intera nazione.
Nello stesso periodo infatti negli Stati Uniti d'America un'altra aviatrice, Amelia Earhart, già dagli anni venti del novecento ha dimostrato l'abilità femminile e abbattuto record su record.
Qui puoi leggere il post
su Amelia Earhar
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 Nel 1932 durante la tappa Bengasi-Tobruk però, Gaby ritiene meno pericoloso il sorvolo del deserto libico e cambia rotta ma viene travolta da una tempesta di sabbia che provoca un’avaria al motore.
I resti dell’aereo e di Gaby furono ritrovati dopo molti giorni di ricerca nei pressi dell’oasi di Uadi el-Ghelta.


La sua salma fu esposta per tributarle un pubblico omaggio nella Casa del Fascio di Milano e poi tumulata nel Cimitero Monumentale. I resti del suo velivolo Breda 15 si trovano esposti al Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” a Milano nel padiglione aeronavale. 

"Il Corriere della Domenica",
 numero 30, luglio 1937.
Negli anni appena successivi la sua memoria sarà curata dai genitori e in particolare da sua madre con foto e dediche e con il libro postumo "Il diario di Gaby". E viva sarà infatti la commozione e il ricordo nell'opinione pubblica e anche nei giornali che la commemoreranno a fianco ad altre importanti e famose aviatrici come Amelia Earhart .

Era nata a Milano il 24 settembre 1911, Gabriella Angelini e nel giro di un solo anno realizzò il suo sogno di diventare pilota, di avere notorietà e fama internazionale, di essere esaltata e onorata in patria, di poter fare quello che più amava ma si spense nei cieli libici il 3 dicembre 1932 la straordinaria esperienza di Gabriella, ormai per tutti e per sempre Gaby.
"Il Diario di Gaby"
 a cura della mamma di Gabriella












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venerdì 20 settembre 2013

Hedwig Dohm- La prima femminista tedesca



Hedwig Dohm fu una delle prime rappresentanti del pensiero femminista tedesco. Rivendicò sia la parità di Istruzione che di formazione per le donne e per le ragazze. Era convinta che non era necessario per una donna finire nella gabbia delle aspettative sociali per quanto allettanti e l’unico elemento che garantiva la parità di ruoli tra uomo e donna era l’indipendenza economica che la donna  doveva conquistare.
Su queste tematiche tra il 1872 e il 1879 scrive ben quattro saggi femministi talmente radicali e rivoluzionari da farle valere una fama immediata ma anche le più feroci critiche anche da parte delle sue connazionali. 

 Come ancora fossimo nel pieno della "querelle des femmes" Dhom  in queste opere oltre a rivendicare pari istruzione, formazione e condizione economica tra uomini e donne, reclama nell’opera “L'emancipazione scientifica delle donne” del 1874 anche pari dignità “umana” per le donne criticando e svilendo le teorie “medico-scientifiche” dell'epoca sulla naturale inferiorità della donna.
Le sue rivendicazioni negli anni si concentrarono oltre che sui diritti sociali anche su quelli politici, fu tra le prime che, nel 1873, chiese il diritto di voto per le donne in Germania, fondando e partecipando a numerose associazioni, anche di stampo radicale, per la rivendicazione del suffragio femminile.
Fu membro, nel 1888, del Comitato dell'Associazione Donne della Riforma con Hedwig Kettler (successivamente Associazione dell'Educazione Femminile e degli Studi delle Donne), che promosse campagne per la riforma del sistema educativo in generale e degli studi delle donne in particolare. Intorno agli stessi anni, con il rafforzamento dell’ala radicale del movimento femminista, riprese a scrivere opere ed articoli sulla necessità delle donne di avere il diritto al voto, si unì alla Società del Bene Femminile della radicale Minna Cauers nel 1889 e all'età di 74 anni prese parte quale membro alla riunione inaugurale dell'Associazione per la maternità e la riforma sessuale di Helene Stöckers. 
Ristampò quindi articoli e opere degli anni passati sul tema del suffragio femminile è infatti del 1876 la ristampa di alcuni saggi socio-politici di alcuni anni prima (1870) sotto il titolo generale de “La natura delle donne e del diritto. La questione femminile. Due trattati di proprietà e il suffragio femminile”. Riprende con vigore la sua azione come attivista per i diritti femminili e scriverà più di 100 articoli l’ultimo risale a pochi giorni prima della sua morte, diventando nei primi anni del ‘900 una figura di primo piano nelle associazioni e nella vita sociale e culturale tedesca.
Nel 1904 nasce la Fondazione della DVF - Associazione tedesca per il suffragio femminile di cui Hedwig Dohm è Presidente onoraria e che si batte, tra le altre cose, per il diritto al congedo di maternità.

Muore a 88 anni ed è sepolta nel cimitero di San Matteo, nella fossa comune insieme al marito, a Berlino la città che il 20 Settembre 1831 le diede i natali.



Nacque da una famiglia di origini ebraiche, il padre, produttore di tabacco, Gustav Adolph Gotthold Schlesinger non poté però sposare la madre di Hedwig, Wilhelmine Henriette Jülich, in quanto figlia illegittima. Il padre di Gustav infatti rimase talmente scandalizzato da non dare il permesso per le nozze, di fatto impedendole fino alla sua morte nel 1838.
Il padre di Hedwig, Gustav, si convertì al protestantesimo nel 1817 e nel 1851 mutò il proprio cognome in Schleh.

Marianne Adelaide Hedwig Dohm, nata Schlesinger fu terza di diciotto figli, come i primi rimase illegittima fino al matrimonio dei genitori portando per i primi anni il cognome della madre Jülich. Non ebbe un’istruzione completa e fu autodidatta per alcune materie come lo spagnolo che apprese durante un viaggio della famiglia nel paese iberico e dopo il quale scrisse, da autodidatta, il suo primo libro "La letteratura nazionale spagnola nel suo sviluppo storico" del 1867 e nel quale conobbe quello che divenne poi suo marito, Ernst Dohm.
Ebbero cinque figli e la loro casa divenne un prestigioso salotto che vide i più importanti personaggi intellettuali berlinesi dell’epoca da Franz Liszt a Theodor Fontane, da Ferdinand Lassalle alla contessa Hatzfeld.
Sarà la nonna della moglie di Thomas Mann, Katharina "Katia" Pringsheim nonchè del musicista Klaus Pringsheim, i figli della sua primogenita Anna Gertrud Edvige.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale sarà tra i pochi  e poche intellettuali che prenderà una posizione netta contro la guerra e si definirà una pacifista intransigente supportando la sua posizione con articoli che scriverà per lo più sulla rivista pacifista L’Azione e nel suo il saggio L'abuso della Morte del 1915.
Visse abbastanza per vedere riconosciuto il diritto di voto alle donne in Germania nel 1918, morì infatti nell'estate dell’anno seguente, nel 1919.

Nel 2007 la Federazione dei Giornalisti le ha dedicato un memoriale.


In Italia la sua opera è stata tradotta e divulgata da una delle più grandi studiose germaniste Maria Teresa Morreale. 



Qui puoi leggere il post su
Maria Teresa Morreale 

Bibliografia:

Opere socio- politiche:
Che i pastori pensano delle donne 1872
Gesuitismo nelle case professionali 1873
L'emancipazione scientifica delle donne 1874
La natura delle donne e del diritto. La questione femminile. Due trattati di proprietà e il suffragio femminile 1876
Gli anti-femministe. Un libro di difesa 1902
Le madri. Un contributo alla domanda di istruzione 1903
L’abuso della Morte 1915

Prose:
• "Diventa chi sei!" Come sono le donne. Due novelle, 1894
Sibilla Dalmar 1896
Il destino di un'anima 1899
Christa Ruland, 1902





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mercoledì 18 settembre 2013

Francesca Caccini- La musicista più pagata






Nel 1587, oggi 18 settembre nasceva a Firenze la figura carismatica della “Cecchina”, Francesca Caccini, musicista, compositrice, poetessa e cantante.
Suo padre era il famoso Giulio Caccini, compositore e musicista alla corte dei Medici a Firenze, creò una vera e propria compagnia artistica grazie alle doti canore e musicali della moglie Lucia Gagnolanti e dei figli: Settimia, Pompeo e appunto Francesca, nonché della seconda moglie Margherita Benevoli della Scala.
E’ l’epoca del fasto e delle feste barocche presso la Corte medicea che splende e ammalia per la sua raffinatezza e fastosità, in questo clima di sfarzo e magnificenza si collocano anche i successi artistici di questa famiglia di musicisti e cantanti. Francesca però grazie sia alle sue capacità artistiche ma anche intellettuali in qualche modo si affrancherà dalla protezione familiare e riuscirà a conquistarsi fama, soldi e rispetto grazie alla sua "sola" opera di poetessa, letterata, compositrice, cantante, musicista: liuto, arpa, clavicembalo, fino ad arrivare ad aprire una sua scuola di canto.
A tredici anni canta, con la famiglia, nell’Euridice, composta dal padre durante il “Concerto Caccini” davanti a Maria dei Medici ed Enrico IV, re di Francia in occasione delle loro nozze, guadagnandosi da subito l’attenzione e la stima della regina Maria che qualche anno più tardi la vorrà in Francia presso la sua corte  godendone però solo per pochi mesi, dopo i quali il Granduca di Toscana Ferdinando la reclamerà a gran voce, revocandole il permesso.
D’altronde Francesca conosceva il latino, il greco e la matematica e aveva studiato anche le lingue e sapeva quindi cantare in spagnolo e francese, così che il re di Francia Enrico IV definì il Concerto Caccini migliore di ogni altro e Francesca Caccini superiore a ogni altra cantante francese.
Cameo di Francesca Caccini
Fu compositrice di ballate, musiche per voce, madrigali, collaboratrice negli spettacoli di corte come autrice di musiche profane e sacre, si esibì anche durante le rappresentazioni di musiche sacre nella chiesa di San Nicola a Pisa, tanto che nel 1607 entra stabilmente nell’organico di corte come la musicista più pagata. Il suo debutto come compositrice avverrà l’anno seguente, nel 1608 per il Carnevale di corte per il quale comporrà “La Stiava”. Collabora con lei, per la stesura dei libretti delle sue opere, Michelangelo Buonarroti, il Giovane, pronipote del più noto Michelangelo, con il quale ebbe sempre una grande amicizia testimoniata da una fitta corrispondenza.
Nel 1610 assiste ad una sua rappresentazione anche Claudio Monteverdi, il padre della musica barocca italiana, che ne rimarrà conquistato tanto da menzionare la sua bravura come cantante e musicista di liuto, chitarra e clavicembalo in una sua lettera al Cardinale Ferdinando Gonzaga.
Nel 1615 organizza il Carnevale a Palazzo Pitti per la Corte medicea, rappresentando “Il Ballo delle Zigane” interamente musicato dalla Caccini, di cui ci è pervenuto solo il libretto.
Compose, prima tra le donne, un’intera opera melodrammatica “La liberazione di Ruggero dall’isola di Alcina” nel 1625 che fu anche l’unica opera di una donna ad essere portata in tournée all'estero. Rimase nella storia la rappresentazione in Polonia, a Varsavia in onore del principe ereditario Ladislao Sigismondo a cui sarà dedicata. Oggi l’opera è conservata a Santa Cecilia.
Nel 1618 pubblicherà inoltre il suo “Primo libro di musica ad una e due voci”, e aprirà anche una sua scuola di canto frequentata da numerose allieve.


Si sposa con il cantante, anch’esso di Corte, Giovan Battista Signorini che l’accompagnerà nei suoi viaggi all’estero ma che rimarrà sempre nella sua ombra poiché poco dotato di ingegno, i due ebbero una figlia nel 1622, Margherita. Alla morte del marito, le notizie riguardo la vita di Francesca diventano sfuocate e difficili da ricostruire. Per alcuni continuerà solo per pochi anni, fino al 1628, a prestare la sua opera presso i Medici, per poi ritirarsi, secondo altri invece si risposa a Lucca con Tomaso, Tommaso, Raffaelli da cui avrà un figlio anch’esso chiamato Tomaso nel 1628 ma due anni dopo morirà anche il secondo marito. Lei continuerà a comporre ed ad insegnare a Corte fino al 1638 e probabilmente morirà per un tumore alla gola nel 1640, secondo alcuni, ma più verosimilmente morì nel 1647 quando la custodia di suo figlio Tommaso passerà allo zio Girolamo Raffaelli.
Francesca riposa, con il padre e la sorella, nella Chiesa di San Michele Visdomini a Firenze dove riposa anche il pittore Filippino Lippi.
Il suo soprannome tipicamente toscano, “Cecchina” deriva dall’uccello canoro che tanto le si addiceva per la bellezza della sua voce e che divenne quasi il suo nome più conosciuto, così è infatti scritto nella sua unica raffigurazione sul medaglione posto a Pistoia nel Palazzo Rospigliosi e che narra: “CECHINE PULCHRITUDINIS IMMORTALITATI1.


1 C. Rostand, “L'ispirato apporto delle donne compositrici del Rinascimento e Barocco italiano”, in “La voce del Popolo”, 27 Giugno 2012, Anno VII, n. 60.




Opere di Francesca Caccini :
La stiava”, ballata, 1607
Il ballo delle Zigane”, ballata, 1615
Il Primo Libro delle Musiche a una e due voci”, testo didattico, 1619
Dove io credeva” , aria in “La Ghirlandetta amorosa” di Fabio Costantini, 1621
La liberazione di Ruggiero dall’isola d’Alcino”, melodramma, 1625
Ch’io sia fedele”, aria, 1629


Biografie e studi su Francesca Caccini:
Francesca Caccini's Il primo libro delle musiche of 1618:A Modern Critical Edition of the Secular Monodies”, Ronald James Alexander - Richard Savino, Indiana University Press, 2004;
Francesca Caccini: florilegio musiche, libro I, Firenze 1618 ”, Nella Anfuso, Fondazione centro studi Rinascimento musicale, 2006;
Francesca Caccini at the Medici Court: Music and the Circulation of Power”, Suzanne G. Cusick, University of Chicago Press , 2009.

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mercoledì 4 settembre 2013

Donne d'Algeri


Questo breve scritto fu il mio tema di presentazione al Corso di Storia delle Donne nell'A.A. 2001/2002 tenuto dalla Professoressa Ginevra Conti Odorisio alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Roma Tre, il cui titolo all'inizio era "Intervista ad una donna algerina (per scoprire che la situazione italiana di 30 fa non era poi così diversa)" e che fu possibile realizzare grazie alla disponibilità di una mia amica di cui ho mascherato il nome per questioni di discrezione ma che se mi legge ora potrà vedere il risultato di quella chiacchierata anche se dopo un pò di anni!.


Nessun diritto, questo è quello che paradossalmente è un principio che la legge stessa sancisce. La donna non ha alcun diritto, proprio così – conferma Hamina, una mia amica algerina che ormai vive in Italia da anni. Ci siamo conosciute in Algeria nel periodo in cui vivevo lì.
La donna non ha diritti, in caso di divorzio, ad esempio, non le spetta nulla se non i vestiti che ha addosso, se non ha più nessuno della sua famiglia d’origine dove tornare rimane in mezzo ad una strada con i suoi figli perché se sono minorenni vengono affidati a lei anche se non ha nulla neanche un tetto sotto al quale stare e lì, sai bene anche tu, le famiglie sono numerose, si hanno tantissimi figli anche 11-13!. In effetti, questa è una realtà pressoché sconosciuta almeno che non si conosca bene la situazione algerina, infatti, il Diritto di Famiglia prevede solo per il marito il diritto di domicilio e ancora, in caso di morte del marito alla donna spetta la metà riservata ad un uomo, qualunque sia il suo apporto al patrimonio comune, e se ci sono uomini che concorrono con lei all’eredità succede che arriva a prendere meno dei parenti collaterali maschi del marito e questo vale naturalmente anche per le figlie.
Sì, e a volte in queste situazioni escono fuori altre mogli, perché anche se il Corano prevede che l’uomo informi la prima moglie dell’intenzione di voler sposare un’altra perché questa può non acconsentire e quindi il marito sarebbe tenuto a divorziare dalla prima moglie per poi poter sposare l’altra, questo non avviene mai e molte, con il fatto che non c’è obbligo di convivenza sotto lo stesso tetto, non sanno che esistono altre moglie, l’una ignora l’esistenza dell’altra o delle altre! .
Senza tener poi conto del diritto unilaterale di divorzio riconosciuto appunto solo allo sposo per semplice volontà del marito ovvero il ripudio. (art.48).
Per non parlare poi– aggiunge ancora – del fatto che la donna non ha una libertà propria, per uscire deve essere sempre accompagnata da un elemento maschile che sia il padre, il fratello, il marito o il figlio e deve chiedere in ogni caso sempre prima il permesso e questo vale anche per una donna di 60 anni anche solo per poter andare a fare la spesa.

In effetti, il Diritto di Famiglia prevede il dovere di obbedienza al marito in pratica la legge dà il potere al marito di impedire alla moglie qualsiasi attività, lavorativa e non, al di fuori della famiglia. E ancora, si sancisce che la tutela dei figli è a carico del padre anche se alla madre è riconosciuto l’affidamento che in pratica, però, si traduce nel dover chiedere l’autorizzazione al marito per poter iscrivere i figli a scuola o per consentire interventi chirurgici senza questo permesso, infatti, la donna non può autonomamente decidere ed agire.


Questa realtà mi catapulta a non tanti anni fa quando anche da noi, in Italia, i diritti delle donne non erano tutelati, realtà soprattutto del sud dove la moglie non poteva condividere la tavola con il marito durante i pasti e dove non si poteva uscire se non accompagnate, ma questa riflessione mi porta anche a sperare che, così come da noi, anche in Algeria si possano apportare riforme che tutelino le donne anche se in quella realtà ci sono problematiche diverse che complicano il cammino di libertà che qui, invece, non erano presenti, sto parlando della religione. Per l’Islam infatti la donna è una regina, la regina del focolare, della famiglia, della casa peccato però che non abbia il diritto di averne una.  

P.S. Ho trovato nelle varie stesure anche questo altro capoverso che poi decisi di togliere ma che ora voglio riaccorpare al tutto per gli stessi motivi che allora mi fecero decidere di toglierlo, la sua intimità: una mia riflessione dell'epoca sulle Algerine.
Se vi può sembrare strano oggi questa mia ulteriore evidenziatura a mia parziale discolpa dico che mi riferisco alla mia esperienza negli anni '90 in cui eravamo ben lontani da una dimestichezza con queste realtà che oggi per ovvi motivi anche di cronaca ci è invece così vicina e visto la data ero anche molto giovane per cui forse molte impressioni possono sembrare enfatizzate e magari lo sono anche ma non per me a quei tempi.

Questa la situazione in Algeria, che ho potuto conoscere e confutare con i miei occhi nel periodo in cui ho abitato ad Algeri che, anzi, forse, offre situazioni più “felici” di quelle che si potrebbero trovare nei tanti paesini della sua periferia.
I ricordi che ho di queste donne sono contornati da molto affetto, mi ricordo che
un aspetto che mi colpì della donna algerina fu la sua fierezza, una dignità che ogni donna ha negli occhi, al di là della sua condizione, dei suoi problemi, che indubbiamente devono essere affrontati, al di là dei problemi economici di un paese che combatte contro se stesso, contro una parte del suo tessuto malato che infetta la società stessa con il terrorismo oggi purtroppo tanto di moda ma che è presente già da anni, tanti, troppi in questa terra dai tramonti rosso fuoco, dai cieli dalle cromature intense, dal mare blu profondo amato perfino dagli antichi Romani che qui fondarono un loro “villaggio turistico” nell’affascinante Tipaza; per tutto questo, quello che sento è di dover ringraziare queste donne che nella loro disperazione hanno la forza di scendere in piazza apertamente contro il terrorismo, che sfidando le minacce inviate loro a casa andando a lavorare contravvenendo ai diktat dei terroristi, che rifiutano di indossare lo schador per non rinunciare ancora una volta alla loro femminilità, una bellezza che possiamo ritrovare guardandole fisse negli occhi. Occhi intensi come loro, donne d’Algeri, donne fiere della loro cultura, la stessa che nega loro di esistere. Le donne d’Algeri sono questo, sono anche tutto questo ed è proprio questo quello che mi è rimasto di loro.
Non è possibile a mio avviso poter dare una definizione ma piuttosto mi sento di voler fare un elogio pieno di affetto e di nostalgia per una terra che in fondo sento anche un po’ mia.